🔷Ci sono bambini che si lasciano prendere da forti crisi di ansia al momento dell’ingresso a scuola, chi vive con profonda angoscia anche il solo pensiero di distaccarsi dai genitori e, di fronte a questi bambini, spesso non sappiamo che pesci prendere.
🔷 Sono quasi sempre bambini che non hanno difficoltà di apprendimento; a scuola se la cavano bene, hanno instaurato una relazione sufficientemente significativa sia con gli insegnanti che con i compagni e tutto sembra filare liscio e senza problemi fino a che…ogni certezza crolla.
🔷 In alcuni casi la fobia si presenta con gradualità, in altri, invece, inizia in modo brusco, all’improvviso. Può presentarsi all’inizio dell’anno scolastico, ma anche in periodi successivi, magari dopo una vacanza, o una malattia o in seguito a un episodio particolare.
🔷 In queste situazioni il bambino esprime angoscia intensa; a mano a mano che il momento della separazione si avvicina, il disagio si fa più acuto, egli è in preda a una forte agitazione, piange, si dispera, supplica i genitori, promette che il giorno dopo non farà storie, tiene stretti la mamma o il papà con una morsa così forte che non si riesce a sciogliere.
🔷 Di fronte a tentativi di costrizione la situazione si aggrava ancor di più; può capitare infatti che il bambino entri in classe, ma l’angoscia è così presente che egli scappa via oppure raggiunge uno stato di agitazione così forte da sfociare in condotte aggressive e auto-aggressive.
🔷 Una volta a casa il bambino riacquista il proprio equilibrio, partecipa alla vita familiare, è collaborativo e si spreca in solenni giuramenti e promesse: “Ti prometto che domani andrò a scuola senza problemi”; “Ti prometto che non farò più storie”.
🔷 Il bambino quando è nel nucleo familiare, tenta di rispondere ai mille perché dei genitori e si sforza di razionalizzare la propria fobia attribuendola a fatti avvenuti a scuola o ad atteggiamenti dei docenti e dei compagni.
🔷 Con l’andar del tempo l’angoscia acquista una dimensione più realistica; il bambino teme di non essere più al passo con il programma, poiché ha perso vari giorni di scuola e offre a se stesso e agli altri questa giustificazione, sebbene a casa studi, dedichi tempo ai compiti, spesso più del dovuto, al punto che la sua preparazione è senz’altro buona.
🔷 In alcuni casi la fobia scolare è accompagnata da altre manifestazioni: difficoltà nel mantenere il ritmo sonno – veglia, presenza di incubi, ansia da separazione anche in relazione ad altre esperienze, (per esempio, si può evidenziare lo stesso problema anche rispetto allo sport, all’andare a casa di amici, ecc..).
🔷Possono inoltre essere presenti comportamenti di tipo ossessivo legati a tematiche scolastiche, come riordinare ripetutamente libri e quaderni, preparare lo zaino con estrema precisione, ricontrollare se tutto e a posto, ecc…
🔷 Talvolta si incontrano modalità di relazione ambivalenti con i familiari, principalmente con la madre, per cui si assiste ad una alternanza di atteggiamenti eccessivamente affettuosi e prevaricatori.
In altre situazioni alla fobia scolare si associano un forte calo di umore, chiusura, senso di tristezza che caratterizzano uno stato di tipo depressivo.
Nei panni della scuola
🔷 Queste situazioni sono di difficile gestione, proprio per le molteplici contraddizioni che le caratterizzano. Un alunno che non vuole entrare in classe, che si dispera aggrappato alla mamma può far sentire l’insegnante rifiutato.
🔷 E’ difficile trovare un modo giusto per accogliere quel bambino, per consolarlo, contenendo la sua angoscia, quando, nel frattempo, l’aula è piena di altri alunni, sbigottiti, che non sanno dare giustificazione a quanto sta accadendo davanti ai loro occhi. Se ci poniamo nei panni dell’insegnante possiamo, addirittura, sentirci rifiutati da quel bambino che non vuole rimanere con noi e, magari, giudicati dai genitori, che sono alla ricerca di spiegazioni da dare al comportamento del proprio figlio. Alla fine ci si sente sconfitti, incapaci di capire e di agire.
Nei panni della famiglia
🔷 Un figlio così disperato, che pure promette costantemente di andare a scuola il giorno dopo, è davvero disorientante. I genitori non riescono a comprendere il suo stato, si pongono mille domande rispetto a che cosa può essere accaduto a scuola, non si sentono capaci di affrontare la sua sofferenza.
🔷 Assumono talvolta atteggiamenti ricattatori (“Se non entri in classe io…”; “Se vai a scuola ti prometto che…”) oppure forzano un po’ troppo la mano (“Io me ne vado, piangi pure quanto vuoi”), aumentando la disperazione, il senso di abbandono e l’ansia da separazione nel figlio.
🔷 Se in famiglia ci sono altri figli, anch’essi entrano in gioco, osservano l’inefficienza dei propri genitori, si sentono messi in secondo piano…I nonni poi, fanno la loro parte, eccome!
Nei panni del bambino
🔷 Se proviamo a metterci nei panni del bambino tutto assume una dimensione particolare. Agli occhi dei grandi egli può essere vissuto come disperato, ma anche come forte e determinato nella sua decisione di non andare a scuola. Ma come si stente quel bambino? Crediamo percepisca a pelle le difficoltà degli adulti, il loro disorientamento, la loro incapacità di contenimento; la sua disperazione non fa che rispecchiarsi nella loro disperazione, nel loro sconforto e questo non fa che amplificare la sofferenza.
🔷 L’ansia, in questo disturbo, si canalizza sulla scuola; egli, come abbiamo visto, vive serenamente gli altri momenti della giornata, ma, con l’andare del tempo, il problema può strutturarsi e diffondersi anche in altri ambiti (lo sport, le uscite con gli amici, il tempo libero in genere). Tutto ciò che allontana dalle mura domestiche può essere vissuto come impraticabile e minaccioso.
La fobia scolare e l’importanza dei servizi
🔷 Questo problema merita particolare attenzione da parte di tutti; è davvero l’espressione di un’elevato livello di sofferenza e aspettare tempo non dà, di solito, esiti positivi.
🔷 Certamente va distinto da quei momenti di crisi transitoria che spesso i bambini manifestano, ma, se si protrae nel tempo e se le sue manifestazioni sono di impatto notevole, è opportuno rivolgersi ai servizi del territorio.
Il colloquio con i genitori o la terapia familiare?
🔷 Anche in questo caso è importante giungere ad una conoscenza approfondita del problema tramite il colloquio con i genitori, ma questo è un passaggio che si può evitare, se nel servizio è presente lo staff di terapeuti familiari.
🔷 Per entrare subito nel vivo del problema è infatti preferibile iniziare subito un percorso di terapia familiare, che inizia con le prime sedute di osservazione, per procedere poi con il processo terapeutico.
🔷 Sarebbe incoerente, visto il problema presentato, proporre una valutazione individuale. Chiedere ad un bambino che manifesta una grande difficoltà al distacco dai genitori di rimanere da solo con lo psicologo è da evitare, va contro il problema stesso, crea una situazione di disagio ancor maggiore, aumenta il livello di ansia di tutti i componenti, tenendo presente anche che, come ben sappiamo, la fobia scolare è un disturbo che riguarda tutta la famiglia e come tale va affrontato, per evitare inutili perdite di tempo e comportamenti che potrebbero essere simili a quelli manifestati davanti al portone della scuola.
🔷 Quindi, la serie di domande esemplificate di seguito e altre ancora è preferibile, come già detto, non proporle ai genitori da soli; si tratta di contenuti conosciuti da tutto il gruppo famiglia, non ci sono segreti da tenere nascosti ai bambini, non è mai così. Per la conduzione delle sedute si consiglia la consultazione del libro “Lo vedo dagli occhi. I bambini e la terapia familiare”, Edizioni Franco Angeli.
🔷 Con le domande si ricostruisce la storia del problema.
- Da quanto tempo si manifesta?
- Il bambino accusa malesseri fisici? Se sì, di che tipo?
- Hanno consultato il pediatra?
- Quali ipotesi hanno fatto circa le cause?
- Il papà e la mamma si trovano in accordo su queste ipotesi?
- In che modo hanno provato a risolverlo?
- Hanno mai manifestato problemi simili quando erano bambini? Se sì, che ricordo ne hanno?
- In che modo hanno superato il problema? Con l’aiuto di chi?
- Il bambino frequenta i compagni di scuola nel tempo libero?
- I genitori hanno stabilito rapporti con i genitori dei compagni di classe?
- Programmano uscite insieme a loro?
- Come va la salute dei genitori?
- Hanno problemi di ordine psicologico?
- Com’è l’umore in famiglia?
- Come possono descrivere una giornata tipo della famiglia?
- Se ci sono altri figli, hanno mai manifestato difficoltà? Se sì, di che tipo?
- Che tipo di collaborazione hanno instaurato con la scuola?
- Come potrebbero descrivere la classe del loro bambino?
- Pensano che il loro bambino possa vivere con disagio la relazione con gli insegnanti e/o con i compagni? Se sì, perchè?
🔷 In questo modo tutti possono partecipare, formulando ciascuno le proprie ipotesi, esprimendo il proprio vissuto e condividendo un percorso insieme. Naturalmente non si tratta di un interrogatorio; le domande si pongono in un clima sereno, utilizzando il gioco, il disegno, altri strumenti, in base all’età dei bambini.
Il colloquio con gli insegnanti
🔷 Un colloquio con gli insegnanti ha l’obiettivo di fare chiarezza circa il clima della classe e circa l’immagine che essi hanno del bambino in questione. Il loro punto di vista può chiarire agli specialisti molte cose rispetto a come egli vive la relazione con i compagni e con gli adulti, al suo comportamento e al suo umore durante lo svolgimento delle attività.
🔷 È utile, inoltre, avere qualche chiarimento sul rendimento scolastico.
- I momenti di crisi si manifestano in ogni momento della giornata scolastica o possono essere legati a particolari materie?
- In che modo hanno cercato di affrontare il problema?
- Gli insegnanti si trovano concordi nel modo di affrontare il problema?
- Hanno provato a trovare un accordo con i genitori su come comportarsi in presenza delle crisi del bambino?
🔷 Lo specialista deve mantenere un atteggiamento di ascolto, evitando il giudizio, raccogliendo informazioni di utilità, tenendo presente che si tratta del punto di vista di adulti molto meno coinvolti affettivamente e che, come sempre accade per tutti, entrano in gioco meccanismi di difesa e “letture” con occhi diversi.
🔷Rassicuriamo allora i docenti; siamo in una fase di comprensione del problema e abbiamo bisogno della loro immagine, non stiamo cercando colpevoli, non lo facciamo mai. Non dimentichiamo, comunque, che lo specialista può predisporre un colloquio di questo tipo solo con il consenso dei genitori e del capo di istituto.
Se il problema è nella scuola
🔷 Può capitare che un bambino manifesti difficoltà ad andare a scuola anche perché, all’interno dell’ambiente, ha vissuto esperienze spiacevoli sia direttamente sia come osservatore. Ci riferiamo a situazioni di prevaricazione da parte dei compagni, a comportamenti negativi fuori dal controllo degli adulti, ma anche a possibili, se pur rare, modalità educative incongrue; tutto questo può generare una vera e propria paura negli alunni e la paura è una cosa diversa dall’ansia, è collegata a eventi reali a concrete possibilità di accadimento.
🔷 Scoprire che sono accaduti fatti spiacevoli deve essere usato come una risorsa per gli specialisti che lavorano nella scuola, che hanno così l’opportunità di predisporre percorsi di aiuto idonei. Tutto va affrontato con equilibrio, senza sminuire né enfatizzare, ricordando sempre che, anche chi compie azioni negative ha bisogno dell’aiuto degli adulti.
🔷 A proposito di questo c’è un altro aspetto da chiarire: spesso i bambini che hanno vissuto queste esperienze non chiedono aiuto, tengono per sé la paura e questo accade sicuramente per un senso di protezione o di sfiducia verso i grandi, vissuti nella loro fragilità piuttosto che nella loro capacità di farsi carico, ove necessario, della soluzione dei problemi. Talvolta i bambini temono di crearli i problemi, di diventare causa di un disagio ancora maggiore, che poi gli adulti non sanno gestire.
Gli ostacoli
🔷 La famiglia, come abbiamo visto, fa il proprio percorso terapeutico, grazie al quale emergono le criticità, ma anche le risorse indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi.
🔷 Gli ostacoli sono spesso tanti, al di là di quelli che la famiglia anche non volutamente pone, ma su questo si incentra il lavoro dei terapeuti (presenza di un problema depressivo o ansioso in un componente, scarsa condivisione della genitorialità, ecc.); le barriere sono rappresentate dalla scarsa coesione nel team dei docenti, dalla ridotta collaborazione tra scuola e famiglia e dalla fretta.
🔷 La fretta non aiuta ad affrontare il problema, che non è una “bizza” del bambino, ma è una vera e propria situazione di sofferenza. La fretta è dei genitori, che non ce la fanno a sostenere i propri vissuti di inadeguatezza; la fretta è della scuola, che ha i propri adempimenti burocratici da rispettare (verifiche mancate, giorni di assenza fuori dal “budget”, ecc.).
🔷 Il disturbo è però invasivo, va affrontato con atteggiamenti collaborativi da parte di tutti, evitando anche che il bambino si senta eccessivamente garantito nella propria posizione giustificata.
🔷 Andare a scuola è obbligatorio, lo sappiamo e deve saperlo anche il bambino stesso; per questo, insieme a lui e con l’aiuto della famiglia, è consigliabile predisporre un reinserimento graduale, iniziando con tempi brevi di permanenza a scuola, aumentandoli a mano a mano.
🔷 Un altro ostacolo non trascurabile è l’ostilità scuola-famiglia che, talvolta, si crea; le accuse reciproche non servono, anzi aumentano il disagio dei bambini. Il patto collaborativo deve costruirsi consapevolmente, con l’aiuto degli specialisti che operano nella scuola, ma anche dello staff clinico dei servizi.
Autrice dell’articolo: Monica Pratelli, psicologa e psicoterapeuta.
www.centromethod.it info@terapiafamiliare.com
Bibliografia
Pratelli M., Lo vedo dagli occhi. I bambini e la terapia familiare, edizioni Franco Angeli, 2013.
Pratelli M. Rifiuti F., Bisogni Educativi Speciali. Diagnosi, prevenzione e intervento, Edizioni Franco Angeli, 2017.