L’autismo è il disturbo pervasivo dello sviluppo (PDD) più largamente conosciuto.
La presenza di questo disturbo permette un inquadramento nella legge 104, per cui i bambini che ne sono portatori possono usufruire della presenza dell’insegnante di sostegno in ambito scolastico.
Ci sono però forme più lievi, ad alto funzionamento, che non rientrano nelle situazioni di handicap, ma che necessitano comunque di attenzione e di risposte educative speciali.
Una di queste condizioni è la sindrome di Asperger, che deve il suo nome da Hans Asperger, un pediatra austriaco che per primo l’ha descritta.
Descriviamo ora le caratteristiche cliniche della sindrome.
L’individuo, e il bambino in modo particolare, entra facilmente in contatto con gli stati d’animo dell’altro, riesce a “leggere” il non verbale, a cogliere le sfumature della voce, le espressioni del volto, comprendendo contenuti emozionali; il bambino con questa sindrome non riesce a far questo e appare poco interessato alle manifestazioni di gioia o di dolore di chi sta loro vicino.
Questo aspetto si caratterizza con una marcata compromissione nell’uso di diversi comportamenti non verbali come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che regolano normalmente l’interazione sociale.
Il bambino non è capace di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate all’età cronologica, non ricerca spontaneamente la condivisione di gioie, interessi o obiettivi con gli altri bambini e la reciprocità sociale è davvero scarsa.
L'attenzione del bambino sembra assorbita da pochi interessi ripetitivi, che lo pervadono in modo eccessivamente intenso e dai quali non riesce a distrarsi.
Si osservano anche abitudini rigide e rituali, che non hanno un’utilità comprensibile. Spesso il bambino manifesta curiosità e interesse per parti di oggetti, piuttosto che per l’oggetto intero e per il suo uso.
Il bambino ha uno sviluppo del linguaggio sufficientemente in linea con l’età per ciò che riguarda la struttura sintattica, ma è carente la forma comunicazionale. Una caratteristica è la marcata prolissità; egli può parlare ininterrottamente del proprio argomento preferito, senza porre attenzione all’interlocutore.
Anche il livello intellettivo valutato con i test standardizzati può rientrare nella media, magari con discrepanza tra i punteggi verbali, che definiscono un profilo spesso non armonico.
Di solito è presente un ritardo nel raggiungimento delle tappe di sviluppo motorio basilari e si osserva una "goffaggine motoria". Questi bambini possono avere quindi scarse abilità, ad esempio, nel pedalare, nel prendere al volo una palla o ad aprire un barattolo, ad arrampicarsi, ecc. Spesso sono impacciati, hanno un'andatura rigida, assumono posture bizzarre, le loro capacità manipolatorie e di coordinazione oculo-manuale sono carenti.
Il bambino a scuola
Il livello intellettivo adeguato può minimizzare il problema, ma è importante osservare soprattutto il loro comportamento, il loro modo di interagire con l’altro, le “particolarità” dei loro interessi. È infatti frequente che questi bambini, nonostante, appunto, le adeguate capacità intellettive, risultino “deboli” nella comprensione e nel pensiero astratto (comprensione del testo, soluzione di situazioni problematiche, organizzazione del compito, flessibilità del pensiero…). Non dobbiamo quindi dare per scontato che il bambino abbia compreso l’informazione e capito la consegna, ma dobbiamo essere più concreti possibile ogni volta che proponiamo nuovi contenuti, utilizzando esempi, schemi, immagini ed esperienze dirette, evitando il sovraccarico verbale e utilizzando al massimo i punti di forza (ad esempio la buona memoria), per favorire l’acquisizione di procedure.
Ciò che per gli altri alunni della classe può essere scontato assume grande valore per questi bambini, i quali hanno bisogno di essere guidati verso la scoperta delle forme di comunicazione, delle regole di conversazione, della possibilità di chiedere aiuto se ne hanno bisogno. Essi vanno aiutati a interiorizzare le regole legate alla vita sociale della classe, incoraggiandoli al gioco, sostenendoli nella condivisione di attività di piccolo gruppo.
Rispetto agli interessi troppo ripetitivi è importante consentirne l’espressione stabilendo però dei confini (si parla di un particolare argomento solo in un preciso contesto, ad esempio, durante l’ora di storia). Ogni volta che è possibile, questi “interessi” dovranno essere un occasione per allargare il campo, per spaziare altrove, per ampliare la gamma dei temi di conversazione e di confronto con i coetanei.
L’attenzione su attività proposte dall’insegnante e avulse dagli interessi del bambino, vengono portate avanti con fatica, per cui, per catturare l’attenzione, è necessario suddividere il compito in sequenze operative, ricontrollandole con il bambino a mano a mano che vengono eseguite. Per aiutare il bambino a padroneggiare l’ambiente può essere utile coinvolgerlo nella gestione dei materiali (riordinare in contenitori etichettati da lui, ad esempio). L’attività motoria, inoltre, è di fondamentale importanza, perché, oltre a favorire la riduzione delle difficoltà di coordinazione e perseguire una maggiore disinvoltura, offre anche maggiori occasioni di divertimento e di scambio con gli altri bambini.
I bambini che presentano questo tipo di disturbo possono desiderare di interagire con il gruppo dei pari e di prender parte alle loro attività, ma non riescono a far capire le loro intenzioni, non posseggono strategie di comunicazione sociale; ad esempio, non cercano lo sguardo dell’altro, non entrano a far parte di una conversazione, ecc. al punto che sembrano disinteressati. L’insegnante quindi può fare da tramite, esprimendo le intenzioni al posto del bambino stesso, ma anche guidandolo verso la conquista di regole di convivenza (salutare, formulare domande, ecc.) che inizialmente saranno un po’ formali, ma che, a mano a mano, diventeranno risorse utili allo stare insieme.
http://www.centromethod.it/public/i-bisogni-educativi-speciali-bes-p38.asp
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